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Il business corre sulla strada (quando c'è)

di Paolo Bricco

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8 settembre 2009

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Il gruppo di Federico, che ha la sua sede principale sulle Serre Calabre, ne ha altre due in Sicilia, a Milo e a Belpasso, in provincia di Catania. «Sotto il profilo commerciale - precisa l'imprenditore - i nostri mercati di riferimento sono la Calabria, la Sicilia e la Puglia. Al massimo, le nostre bottiglie arrivano fino a Roma». Dunque, nell'attività ordinaria, il problema principale è rappresentato dalla dissestata rete stradale interna di queste regioni: «Oggi la strada statale 106 Jonica, il principale collegamento fra Puglia, Basilicata e Calabria, è in condizioni pietose».
Su una prospettiva di medio periodo, l'allucinante realtà della Salerno-Reggio Calabria, che diventa dramma mediatico durante gli esodi estivi ma che ogni giorno rappresenta uno svantaggio competitivo incolmabile per chi al Sud prova a fare impresa, diventa un tetto che si abbassa sulla testa degli industriali calabresi, costringendoli ad accucciarsi anziché allungare il passo verso il futuro. «Certo - commenta Federico - anche se volessi provare a vendere la mia acqua minerale alla grande distribuzione del Nord del paese, penso all'Emilia Romagna e alla Toscana, come potrei fare?».

La Salerno-Reggio Calabria, dunque, rischia con i suoi lavori sempre in corso, le sue code infinite, i suoi subappalti non in odore, ma in certezza, d'infiltrazioni mafiose, di diventare l'arteria ostruita di collegamento fra il Sud e il Nord di un paese in perenne cardiopatia.
Un paese che, per una volta, in un altro punto del suo corpaccione, è riuscito con il Passante di Mestre a impiantare un bypass infrastrutturale in grado di ridurre le fibrillazioni del traffico, tagliare i costi per le imprese e rendere meno opprimente la vita di tutti i giorni. Ore e chilometri in coda sulla tangenziale di Mestre, prima che il traffico sulla autostrada A4 Torino-Milano-Venezia-Trieste venisse in parte deviato sul Passante. Il miglioramento è reale: gli oltre 30 chilometri di coda del 1° agosto non devono ingannare.

Roberto Bottan da Marghera non sfugge alla mitologia, forse consunta e inflazionata ma sempre realistica, dell'uomo sul camioncino. Un classico della retorica povera del Nord-Est ricco. Anzi, lui dei camioncini e dei pullmini ha fatto il suo business. Nella sua officina li rende compatibili con le esigenze di chi non ha l'uso delle gambe, ha altri handicap fisici o ha particolari sofferenze psichiche. Ogni anno, ne prepara una settantina. Il medesimo trattamento lo riserva ad altrettante automobili. «Gli automezzi - spiega Bottan - li consegno direttamente ai clienti. L'altro giorno, ho portato l'ultimo a una cooperativa di servizi di Castelfranco Veneto». Sei i dipendenti, una quindicina di concorrenti in Italia, un fatturato di 1 milione all'anno. E migliaia di chilometri macinati fra Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, il mercato di riferimento di Bottan. Quarantotto anni, da 25 Bottan va su e giù. Con il talento di chi mescola il fiuto per l'affare dietro casa con una comprensione magari intuitiva ma efficace di quanto sta capitando nel mondo grande, racconta gli effetti della caduta del muro di Berlino.

«Me lo ricordo bene - dice - i primi problemi con il traffico sulla tangenziale di Venezia li abbiamo avuti nel 1990. La fine del comunismo ha aperto quei mercati. Tonnellate di merce hanno iniziato ad arrivare dall'Europa dell'Est e a muoversi verso quesi paesi, passando a pochi chilometri dalla mia officina. Ogni anno, sempre di più». Per dire, la geopolitica spiegata dal titolare di una officina meccanica del Nord-Est. Che, adesso, è tornato a respirare: «Le dico soltanto che, per andare da Mestre a Treviso, trenta chilometri, i tempi di percorrenza si sono dimezzati».
Certo, la crisi avrà anche ridotto il traffico su gomma: secondo le ultime stime, il numero di Tir che ogni giorno trasportano le merci sull'intera rete stradale avrebbe subito una riduzione calcolabile fra il 10 e il 15 per cento. Il che potrebbe avere aiutato Bottan, nella sua complicata quotidianità. Dunque, si potrà fare il calcolo degli effetti reali, da snodo infrastrutturale finalmente sciolto, soltanto quando, fra uno due o tre anni, la crisi avrà significativamente diminuito la sua portata.

Intanto, però, nel Nord-Est che vive con un'energia al limite dell'ansia il tentativo di recuperare ogni millimetro di spazio buono per gli affari sulla tavola scivolosa della crisi, una pietra d'inciampo, bella grossa, è stata rimossa. Non sarà molto, ma quando bisogna lavorare su bilanci ormai all'osso, è già qualcosa. Perché l'asfissia pre-Passante descritta da Bottan non era soltanto una condizione psicologica da uomo imprigionato nell'abitacolo. C'era anche un preciso costo, il che nella patria degli schei conta.
«Le faccio due calcoli - spiega veloce Bottan mentre corre da un cliente - : la mia tariffa oraria in officina si aggira intorno ai 35-40 euro. Ogni giorno, stavo in coda fra le tre e le quattro ore e di certo non li potevo scaricare sui clienti. Ecco che bruciavo subito un 150 euro. Lavoro almeno 250 giorni all'anno. Prima dell'apertura del Passante, dunque, ci perdevo un bel 40mila euro all'anno. Senza contare la benzina che risparmio». E, da uomo d'officina cresciuto alla religione civile del lavoro e del denaro che si guadagna centesimo dopo centesimo, esclama: «Son contento. Ohi, son soldi».

paolo.bricco@ilsole24ore.com

8 settembre 2009
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